mercoledì 4 giugno 2008

Podcast: "Ho sposato un comunista"

Tratto da "Ho sposato un comunista" di Philip Roth, che sto leggendo, e dedicato a Mauro, che ama molto questo pezzo:


roth.mp3




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martedì 20 maggio 2008

Damages


Non si può vivere solo di serie tv, certo, ma dovendo scegliere con chi vivere probabilmente sceglierei le serie tv. Americane. Diciamolo, gli americani le sanno proprio fare e sanno continuamente inventare nuovi generi o modificare improvvisamente generi consolidati.
Ultimamente sto flirtando con "Damages", uscito un paio di settimane fa in Italia su Sky, ma già ampiamente disponibile (ehm...) in lingua originale: sentire recitare Glenn Close non è un vezzo, rende davvero la visione più interessante.
Si tratta di un legal-thriller ambientato a New York (e qui potrei aprire una digressione infinita su quanto amo le serie tv girate a NY, ma i miei zero lettori potrebbero annoiarsi), e legato alle vite di una avvocato spregiudicata, tenace, cinica e combattiva, di una giovane, tenera e intelligente bambi apprendista avvocato, del di lei amorevole fidanzato, della sorella di quest'ultimo, libertina, menzognera e talentuosa cuoca e di uno squalo del mercato con mega villone e mega problemi con la giustizia.
La prima puntata, nel bene e nel male, è folgorante: tempo due secondi e sei già catapultato nel mezzo dell'azione, ti fai già mille domande a cui incredibilmente la serie inizia subito a rispondere. Musica ad alta tensione, immagini in rapida successione da prospettive non usuali, salti temporali, la sincerità come unico elemento a cui non bisogna mai affidarsi.
Non svelerò nulla, ma nel primo episodio si vede già la fine della serie ed è un finale spiazzante: tutto il resto sembra una rincorsa verso un evento di cui siamo già a conoscenza ma di cui non possiamo ancora spiegare le cause. Come e perchè si arriverà lì? E soprattutto, chi c'è dietro? E' facile intuire che quello che si vede non è un finale conciliante.
A meno che non si tratti di un raro caso in cui le immagini mentono: dopo il celeberrimo falso flashback di Hitchcock in "Paura in palcoscenico" (clamorosa rottura di una convenzione cinematografica), potrebbe essere il primo (credo) caso di un falso flashforward. Ora che ci penso anche i flashforward di "Lost" potrebbero rilevarsi tutti una grande fregatura: insomma, al mondo d'oggi non ci si può fidare nemmeno dei salti temporali cinematografici.
Dicevo che "Damages" mi ha colpito nel bene e nel male: alcuni momenti infatti calcano pesantemente la mano sul versante della tensione "qui devi avere paura, oh Spettatore" e sembrano scritti in modo non particolarmente curato, ma in effetti seguo le vicende in uno stato di interesse e di tensione, per cui ben venga qualche trucchetto, anche un banale, ma che funziona sempre sullo spettatore accucciato sul divano.
Giudizio in corso del blogger: tre palle e mezzo e tanta curiosità
Consigliato a: drogati di serie tv, cacciatori di immagini di New York, ammiratori delle brave attrici, cinici col pelo sullo stomaco.
Sconsigliato a: giovani neo laureate in giurisprudenza con ancora tanti sogni nel cassetto.
Curiosità: la serie, premiata ai Golden Globe, rappresenta anche un interessante caso di comunicazione. In UK infatti il primo episodio è stato trasmesso gratuitamente sull'iTunes Store dalla BBC, mentre in Germania è stato allegato in dvd alla rivista Vanity Fair. Su una serie di questo tipo, il primo episodio è davvero chiave e può creare dipendenza.
Servisse mai: per chi, come me, può letteralmente impazzire quando riconosce un attore, ma non si ricorda dove l'ha visto (e fino a che non risolve l'enigma non si dà pace), la giovane protagonista Rose Byrne è apparsa anche in Troy e Maria Antonietta.

Sigla:

martedì 13 maggio 2008

L'inventore di sogni

Piccolo esperimento.
Parlando di "Amsterdam" di McEwan, ho citato "L'inventore di sogni" e mi è venuta voglia di leggerne un pezzo.
L'ho letto. Poi l'ho riletto. Poi l'ho registrato. Poi con Garage Band ho aggiunto due minimi effetti sonori (ce ne sono di bellissimi) e l'ho convertito in mp3.
E ora provo a inserirlo nel blog.
Magari qualcuno ha voglia di ascoltarsi un minuto di un libro letto da un estraneo, una pillola di McEwan. Magari no.
Magari presto mi vergognerò della mia voce che legge e eliminerò tutto.


McEwan2.mp3


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sabato 10 maggio 2008

Amsterdam


Tempo fa al Libraccio, una delle poche librerie d'usato degne di questo nome in Italia (in questo inglesi e americani sono imbattibili), ho preso "Amsterdam" di McEwan, uno degli scrittori star degli ultimi venti anni. Giustamente star, a parere mio: "L'inventore di sogni" è un piccolo gioiello che si legge in un'ora, "L'ora fatale" ha un inizio difficilmente dimenticabile.
Per "Amsterdam" il buon Ian McEwan ha vinto l'ambito Booker Prize, di cui qui trovate l'elenco dei vincitori, e dopo aver letto il libro ho avuto l'impressione del classico premio dato in ritardo, e per la motivazione sbagliata, per compensare qualche premio mancato in precedenza e invece ampiamente meritato: un esempio pop in questo senso è, secondo me, l'oscar a Nicole Kidman per il naso posticcio in "The hours", quando invece lo avrebbe meritato per "Mouline Rouge".
Insomma, il libro non mi ha convinto. Intelligente, brillante, interessante, ma con qualcosa di non genuino.
Bella l'idea di aprire la storia con il funerale della vivace Molly, in cui si incontrano il fastidioso marito e gli ex amanti, tutti di un certo calibro. Un ministro, il direttore di un quotidiano e un musicista. Bella l'idea di avere tutti personaggi sgradevoli, pronti a scaricare gli uni sugli altri i loro limiti, le loro colpe e le loro perversioni. Bella l'immagine di Molly, fantasma che aleggia sul libro, seducente e libera, ma anche strumento di ricatto degli uni contro gli altri.
Brutto il finale, con un colpo di scena improbabile e troppo letterario. Dopo di che ho letto le pagine restanti in fretta, ho continuato a trovare frasi scritte benissimo, ma alla fine ho chiuso il libro con l'amaro alla bocca.
Giudizio del blogger: una palla, anche i grandi scrittori sbagliano e non diventano meno grandi per questo.
Consigliato a: chi ama McEwan e vuole terminare la collezione.
Sconsigliato a: chi si fida degli amici sbagliati e delle amanti defunte.
Una nota: leggendo, per un po' ho temuto che il libro fosse troppo intelligente per me e che Amsterdam fosse una metafora che non capivo. Poi con mio grande sollievo i protagonisti vanno in Olanda.
La curiosità: il Booker Prize ha un nome perfetto, ma in realtà Booker era il nome dello sponsor originale, una compagnia di cash-and-carry. Proprio come il Premio Strega si chiama così per la sponsorizzazione del liquore Strega.

in foto una bella libreria di Amsterdam [http://www.flickr.com/photos/bcnbits/363695635/]


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lunedì 5 maggio 2008

Il treno per il Darjeeling


Presentato alla Mostra del cinema di Venezia lo scorso settembre, è finalmente uscito nelle nostre sale "Il treno per il Darjeeling" (alias "The Darjeeling limited"), ultimo film dell'originale Wes Anderson. Dei suoi film precedenti avevo molto riso davanti ai "Tenenbaums", mentre mi ero drammaticamente addormentato prima dell'inizio delle "Avventure acquatiche di Steve Zissou", causa dura giornata di lavoro; svegliatomi nel bel mezzo di scene deliranti, avevo pensato bene di dormirmela tutta.
La prima impressione davanti al treno che percorre il Darjeeling è quella di trovarsi di fronte a una combriccola di amici attori che lavorano bene insieme, si mandano gli auguri per le feste e fumano nelle pause: Owen Wilson aveva già recitato per Anderson nei Tenenbaums, Bill Murray si concede un cameo tanto per ricordarci che lui era Steve Zissou e la splendida Anjelica Houston aveva già brillantemente timbrato il cartellino anche nei due film precedenti. Infine la lanciatissima Natalie Portman compare per un brevissimo istante impersonando un personaggio spesso citato, ma mai visto: segno, così mi piace pensare, di simpatia.
Il film scorre surreale, lieve e improbabile lungo i binari di una ferrovia, a bordo di un treno variopinto, circondato da colori sgargianti (merito della nostrana Milena Canonero, 3 premi oscar e uno Steve Zissou alle spalle) e abitato da persone se non altro bizzare. Tre fratelli che più diversi non si può e che il solo vederli uno accanto all'altro ti mette di buon umore, ognuno con le sue manie, una vita personale traballante, un padre defunto e una madre esule e snaturata.
In mezzo, come in tutti i buoni film, succede un po' di tutto, c'è chi nasce, c'è chi muore, c'è chi rimorchia, c'è chi prega, c'è la riunione e c'è la separazione, c'è molto tè e molte valigie.
Il film mi ha fatto innamorare di una ferrovia stupenda, che poi ho scoperto essere patrimonio mondiale dell'Unesco, nonchè una delle ultime ferrovie a vapore dell'India: da giorni sto pregustando con la fantasia un viaggio in treno ai piedi dell'Himalaya sorseggiando tè nero. Infine "Il treno per il Darjeeling" appartiene a quella benemerita categoria, mai abbastanza lodata e mai degnamente segnalata (IMDB non consente questo tipo di ricerca), dei film sotto i 100 minuti, che secondo me sono un tempo sufficiente per raccontare una buona storia, per trovare qualcosa di aperto dopo il cinema se si va al secondo spettacolo o per non cadere stecchiti sul divano se si guarda un dvd.
Giudizio del blogger: 3 palle e mezzo, con menzione d'onore alla durata, lodi lodi e lodi alla signora Houston e il merito di suggerire un bell'itinerario di viaggio.
Nota familiare/patriarcale: il piccolo (di statura) Jason Schwartzman appartiene al potente clan dei Coppola che annovera un celebre padre regista (Francis Ford), un figlio sceneggiatore (Roman, al lavoro anche in questo film), una celebre figlia (Sofia), un celebre nipote (Nicholas Cage), un altro nipote (Schwartzman appunto) e un celebre ex-genero regista (Spike Jonze). Se volete lavorare nel cinema, sposatevi un Coppola.
Nota erotica: il film è preceduto da un cortometraggio che ha spopolato in rete prima del lancio, come in tutti i casi in cui si vedono attori famosi nudi e ansimanti. "Natalie Portman nude" è stata infatta una frasi più cercate su google.
Il corto si intitola "Hotel Chevalier" e chissà se qualcuno, cercandolo ancora, non finisca proprio qui:



foto: http://www.flickr.com/photos/12522809@N05/2032020919/

martedì 29 aprile 2008

Ieri

Come creare un evidente contrasto tra quello che si vive e quello che si legge e uscirne ringiovaniti.
Gli ingredienti: raro weekend di sole, con ritorno nelle terre natie. Tempo da dedicare a se stessi. Libro nuovo. Uno scoglio in mezzo al mare.
Il protagonista: "Ieri" di Agota Kristof. La storia si muove tra due luoghi non definiti da un nome proprio, ma precisamente scolpiti come immaginario: un paese di campagna dell'Est, in un indistinto periodo bellico e una fabbrica di un paese dell'Ovest ricco coi ricchi, povero coi poveri.
La scrittura della Kristof è giustamente famosa per la sua secchezza, la sua precisione, la sua schiettezza: incede come soldati in marcia, non si ferma davanti agli ostacoli, non ha mai l'esitazione del dubbio. L'infanzia, il sesso, l'amore, il lavoro, l'odio, la menzogna, la vendetta vengono tutti chiamati con il loro nome, si offrono nudi e semplici per quello che sono, ed è la loro nudità che spaventa, la loro semplicità che spiazza.
Il libro si beve in un paio d'ore, in un'unica apnea. Quasi mi spiace di averlo letto così rapidamente: non mi sono soffermato sui momenti in cui l'azione si interrompe e lascia spazio a pagine di simbolismo, a metafore di scrittura. O forse è giusto così, occorre non interrompere il ritmo della marcia, nemmeno quando diviene una barca che attraversa rapida il corso di un fiume.
So che improvvisamente è arrivata la fine, equa e implacabile, chiara fin dalla prima pagina, evidente nell'ultima.

Da questo libro Soldini ha tratto il film "Brucio nel vento", di cui qui sotto trovate una scena:





Giudizio del blogger: 4 stelle
Sconsigliato a persone dalla mentalità chiusa e dalla moralità miope.
Consigliato agli estimatori delle voci femminili, agli appassionati di storie crudeli e fatali, a chi vuole finire un libro e ritrovarsi felicemente abbronzato e con un aspetto più giovanile del previsto.

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venerdì 25 aprile 2008

Le sue materie oscure


Comincio con un mio errore. Ho appena terminato di leggere in lingua originale l'ultimo libro della trilogia fantasy di Philip Pullman, trilogia che nella mia mente ho sempre chiamato "le sue materie oscure", e che invece, scopro ora, in Italia è stata tradotta come "queste oscure materie". Peccato, preferivo la mia traduzione mentale.
Il titolo, e non solo quello, trae ispirazione da un verso del "Paradiso Perduto" di Milton:
"Unless the almighty maker them ordain
His dark materials to create more worlds"

Con la sua lotta tra Satana e Dio, con la gigantesca ed eroica figura dell'angelo ribelle, coi suoi riferimenti pagani e mitologici, il grande classico della letteratura inglese è un po' il padre adottivo della creazione di Pullman.
E' difficile sintetizzare in un solo commento leggibile - anche se finora di lettori se ne contano meno che di non indagati in parlamento - 3 libri densi di avvenimenti e piuttosto diversi tra di loro. Per non parlare del film che ci si è messo in mezzo.
"Queste oscure materie" (lo ripeto per memorizzarlo) mi ha decisamente sorpreso per la sua maturità: rispetto ad altri fantasy, che sono soprattutto godibili per il brillante concatenarsi delle azioni, Pullman regala una riflessione più vasta e ambiziosa. Nella trilogia c'è il tentativo di smontare e ricostruire momenti della mitologia pagana e cristiana e di reinterpretare il rapporto tra uomo e divinità, tra libero arbitrio e destino supremo. Può piacere o no, può essere più o meno criticabile, ma è stato proprio questo a muovere la mia lettura: il desiderio di capire la teologia e la cosmologia dell'autore britannico.
Uno dei pilastri portanti del libro è la teoria degli universi paralleli, che oltre ad avere grande fascino per gli scrittori, ha tra i suoi sostenitori alcuni fisici e studiosi di meccanica quantistica.
Nel libro i personaggi si muovono, con mia grande invidia, tra infiniti mondi comunicanti: alcuni abitati da uomini come noi, altri abitati da uomini come noi ma dotati di daemon (ovvero un animale inseparabile e perfettamente empatico), altri da streghe (vecchissime, bellicose e sensualissime), altri da angeli (alcuni dei quali sono omosessuali), altri da sciamani (mestiere che non vi consiglio di intraprendere, è un po' doloroso).
Il primo libro "La bussola d'oro" mi è sembrato fresco, originale, intrigante; il secondo "La lama sottile", il mio preferito, è più scuro, più complesso, più ambiguo; il terzo "Il cannocchiale d'ambra" è piuttosto complicato, mirabolante ma anche un po' faticoso.
Devo dire che alla fine la "teologia" di Pullman non mi ha convinto fino in fondo, ma penso sia normale quando si punta molto in alto e si vanno a toccare archetipi della cultura: ma è proprio è il tentativo di creare qualcosa di ambizioso che ho molto apprezzato.
Sicuramente di questi libri tratterrò nella mente alcune immagini formidabili (attenzione, potrebbero essere spoiler): il tabù infranto di toccare il daemon altrui, il dialogo tra Mary Malone e gli angeli a Oxford, la ferocia dei bambini che vogliono il coltello, la fragilità di Dio, i colori delle libellule nel regno dei morti, l'assoluzione del prete prima che commetta un omicidio, la curiosità delle Arpie, la morte come sollievo, la lealtà delle spie, il cannibalismo come rituale di sepoltura.
Nella mia mente devo ancora ricollegare tutti i pezzi che ha seminato Pullman, come il nuovo ruolo di Eva, il nuovo ruolo del serpente, la nuova battaglia degli angeli contro Dio, ma mi fa molto sorridere leggere che l'autore è rimasto un po' seccato perchè tutta la polemica da parte della Chiesa se l'è presa Harry Potter e a lui è rimasto ben poco.
Sconsigliato a chi non vuole aspettare tre libri prima di capire come va a finire.
Consigliatissimo a chi pensa che un mondo solo non basti e che la chiesa sia un'autorità dispotica che nulla ha a che vedere con la verità.
La morale: vivete intensamente, avere qualcosa da raccontare vi servirà nell'aldilà.

Note sparse: il film tratto dal primo libro è nettamente inferiore al testo. Troppo tropicale, colorato, conciliante rispetto allo spirito del libro. Peccato perchè il cast con la Kidman-Coulter, Craig-Asriel, Green-Pekkala sulla carta era ottimo.
Il primo libro l'ho comprato a Ullapol, una sperduta cittadina scozzese con una simpatica libreria e un bel paesaggio. Il secondo l'ho comprato alla Feltrinelli, con una simpatica ragazza che mi ha detto "leggere questo libro ti cambierà".
Uno dei fondatori della teoria dei ""molti mondi è Hugh Everett III, padre del cantante degli Eels.
Milton, oltre a essere ispiratore di Pullman, e uno dei padri della letteratura inglese, è anche uno degli autori che ha arricchito di più la propria lingua: l'elenco dei neologismo da lui creato è impressionante! Terrific!

foto: http://picasaweb.google.com/ewbaxter/20071018ScotlandHoliday2007/photo#5131729828768908450