martedì 20 maggio 2008

Damages


Non si può vivere solo di serie tv, certo, ma dovendo scegliere con chi vivere probabilmente sceglierei le serie tv. Americane. Diciamolo, gli americani le sanno proprio fare e sanno continuamente inventare nuovi generi o modificare improvvisamente generi consolidati.
Ultimamente sto flirtando con "Damages", uscito un paio di settimane fa in Italia su Sky, ma già ampiamente disponibile (ehm...) in lingua originale: sentire recitare Glenn Close non è un vezzo, rende davvero la visione più interessante.
Si tratta di un legal-thriller ambientato a New York (e qui potrei aprire una digressione infinita su quanto amo le serie tv girate a NY, ma i miei zero lettori potrebbero annoiarsi), e legato alle vite di una avvocato spregiudicata, tenace, cinica e combattiva, di una giovane, tenera e intelligente bambi apprendista avvocato, del di lei amorevole fidanzato, della sorella di quest'ultimo, libertina, menzognera e talentuosa cuoca e di uno squalo del mercato con mega villone e mega problemi con la giustizia.
La prima puntata, nel bene e nel male, è folgorante: tempo due secondi e sei già catapultato nel mezzo dell'azione, ti fai già mille domande a cui incredibilmente la serie inizia subito a rispondere. Musica ad alta tensione, immagini in rapida successione da prospettive non usuali, salti temporali, la sincerità come unico elemento a cui non bisogna mai affidarsi.
Non svelerò nulla, ma nel primo episodio si vede già la fine della serie ed è un finale spiazzante: tutto il resto sembra una rincorsa verso un evento di cui siamo già a conoscenza ma di cui non possiamo ancora spiegare le cause. Come e perchè si arriverà lì? E soprattutto, chi c'è dietro? E' facile intuire che quello che si vede non è un finale conciliante.
A meno che non si tratti di un raro caso in cui le immagini mentono: dopo il celeberrimo falso flashback di Hitchcock in "Paura in palcoscenico" (clamorosa rottura di una convenzione cinematografica), potrebbe essere il primo (credo) caso di un falso flashforward. Ora che ci penso anche i flashforward di "Lost" potrebbero rilevarsi tutti una grande fregatura: insomma, al mondo d'oggi non ci si può fidare nemmeno dei salti temporali cinematografici.
Dicevo che "Damages" mi ha colpito nel bene e nel male: alcuni momenti infatti calcano pesantemente la mano sul versante della tensione "qui devi avere paura, oh Spettatore" e sembrano scritti in modo non particolarmente curato, ma in effetti seguo le vicende in uno stato di interesse e di tensione, per cui ben venga qualche trucchetto, anche un banale, ma che funziona sempre sullo spettatore accucciato sul divano.
Giudizio in corso del blogger: tre palle e mezzo e tanta curiosità
Consigliato a: drogati di serie tv, cacciatori di immagini di New York, ammiratori delle brave attrici, cinici col pelo sullo stomaco.
Sconsigliato a: giovani neo laureate in giurisprudenza con ancora tanti sogni nel cassetto.
Curiosità: la serie, premiata ai Golden Globe, rappresenta anche un interessante caso di comunicazione. In UK infatti il primo episodio è stato trasmesso gratuitamente sull'iTunes Store dalla BBC, mentre in Germania è stato allegato in dvd alla rivista Vanity Fair. Su una serie di questo tipo, il primo episodio è davvero chiave e può creare dipendenza.
Servisse mai: per chi, come me, può letteralmente impazzire quando riconosce un attore, ma non si ricorda dove l'ha visto (e fino a che non risolve l'enigma non si dà pace), la giovane protagonista Rose Byrne è apparsa anche in Troy e Maria Antonietta.

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martedì 13 maggio 2008

L'inventore di sogni

Piccolo esperimento.
Parlando di "Amsterdam" di McEwan, ho citato "L'inventore di sogni" e mi è venuta voglia di leggerne un pezzo.
L'ho letto. Poi l'ho riletto. Poi l'ho registrato. Poi con Garage Band ho aggiunto due minimi effetti sonori (ce ne sono di bellissimi) e l'ho convertito in mp3.
E ora provo a inserirlo nel blog.
Magari qualcuno ha voglia di ascoltarsi un minuto di un libro letto da un estraneo, una pillola di McEwan. Magari no.
Magari presto mi vergognerò della mia voce che legge e eliminerò tutto.


McEwan2.mp3


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sabato 10 maggio 2008

Amsterdam


Tempo fa al Libraccio, una delle poche librerie d'usato degne di questo nome in Italia (in questo inglesi e americani sono imbattibili), ho preso "Amsterdam" di McEwan, uno degli scrittori star degli ultimi venti anni. Giustamente star, a parere mio: "L'inventore di sogni" è un piccolo gioiello che si legge in un'ora, "L'ora fatale" ha un inizio difficilmente dimenticabile.
Per "Amsterdam" il buon Ian McEwan ha vinto l'ambito Booker Prize, di cui qui trovate l'elenco dei vincitori, e dopo aver letto il libro ho avuto l'impressione del classico premio dato in ritardo, e per la motivazione sbagliata, per compensare qualche premio mancato in precedenza e invece ampiamente meritato: un esempio pop in questo senso è, secondo me, l'oscar a Nicole Kidman per il naso posticcio in "The hours", quando invece lo avrebbe meritato per "Mouline Rouge".
Insomma, il libro non mi ha convinto. Intelligente, brillante, interessante, ma con qualcosa di non genuino.
Bella l'idea di aprire la storia con il funerale della vivace Molly, in cui si incontrano il fastidioso marito e gli ex amanti, tutti di un certo calibro. Un ministro, il direttore di un quotidiano e un musicista. Bella l'idea di avere tutti personaggi sgradevoli, pronti a scaricare gli uni sugli altri i loro limiti, le loro colpe e le loro perversioni. Bella l'immagine di Molly, fantasma che aleggia sul libro, seducente e libera, ma anche strumento di ricatto degli uni contro gli altri.
Brutto il finale, con un colpo di scena improbabile e troppo letterario. Dopo di che ho letto le pagine restanti in fretta, ho continuato a trovare frasi scritte benissimo, ma alla fine ho chiuso il libro con l'amaro alla bocca.
Giudizio del blogger: una palla, anche i grandi scrittori sbagliano e non diventano meno grandi per questo.
Consigliato a: chi ama McEwan e vuole terminare la collezione.
Sconsigliato a: chi si fida degli amici sbagliati e delle amanti defunte.
Una nota: leggendo, per un po' ho temuto che il libro fosse troppo intelligente per me e che Amsterdam fosse una metafora che non capivo. Poi con mio grande sollievo i protagonisti vanno in Olanda.
La curiosità: il Booker Prize ha un nome perfetto, ma in realtà Booker era il nome dello sponsor originale, una compagnia di cash-and-carry. Proprio come il Premio Strega si chiama così per la sponsorizzazione del liquore Strega.

in foto una bella libreria di Amsterdam [http://www.flickr.com/photos/bcnbits/363695635/]


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lunedì 5 maggio 2008

Il treno per il Darjeeling


Presentato alla Mostra del cinema di Venezia lo scorso settembre, è finalmente uscito nelle nostre sale "Il treno per il Darjeeling" (alias "The Darjeeling limited"), ultimo film dell'originale Wes Anderson. Dei suoi film precedenti avevo molto riso davanti ai "Tenenbaums", mentre mi ero drammaticamente addormentato prima dell'inizio delle "Avventure acquatiche di Steve Zissou", causa dura giornata di lavoro; svegliatomi nel bel mezzo di scene deliranti, avevo pensato bene di dormirmela tutta.
La prima impressione davanti al treno che percorre il Darjeeling è quella di trovarsi di fronte a una combriccola di amici attori che lavorano bene insieme, si mandano gli auguri per le feste e fumano nelle pause: Owen Wilson aveva già recitato per Anderson nei Tenenbaums, Bill Murray si concede un cameo tanto per ricordarci che lui era Steve Zissou e la splendida Anjelica Houston aveva già brillantemente timbrato il cartellino anche nei due film precedenti. Infine la lanciatissima Natalie Portman compare per un brevissimo istante impersonando un personaggio spesso citato, ma mai visto: segno, così mi piace pensare, di simpatia.
Il film scorre surreale, lieve e improbabile lungo i binari di una ferrovia, a bordo di un treno variopinto, circondato da colori sgargianti (merito della nostrana Milena Canonero, 3 premi oscar e uno Steve Zissou alle spalle) e abitato da persone se non altro bizzare. Tre fratelli che più diversi non si può e che il solo vederli uno accanto all'altro ti mette di buon umore, ognuno con le sue manie, una vita personale traballante, un padre defunto e una madre esule e snaturata.
In mezzo, come in tutti i buoni film, succede un po' di tutto, c'è chi nasce, c'è chi muore, c'è chi rimorchia, c'è chi prega, c'è la riunione e c'è la separazione, c'è molto tè e molte valigie.
Il film mi ha fatto innamorare di una ferrovia stupenda, che poi ho scoperto essere patrimonio mondiale dell'Unesco, nonchè una delle ultime ferrovie a vapore dell'India: da giorni sto pregustando con la fantasia un viaggio in treno ai piedi dell'Himalaya sorseggiando tè nero. Infine "Il treno per il Darjeeling" appartiene a quella benemerita categoria, mai abbastanza lodata e mai degnamente segnalata (IMDB non consente questo tipo di ricerca), dei film sotto i 100 minuti, che secondo me sono un tempo sufficiente per raccontare una buona storia, per trovare qualcosa di aperto dopo il cinema se si va al secondo spettacolo o per non cadere stecchiti sul divano se si guarda un dvd.
Giudizio del blogger: 3 palle e mezzo, con menzione d'onore alla durata, lodi lodi e lodi alla signora Houston e il merito di suggerire un bell'itinerario di viaggio.
Nota familiare/patriarcale: il piccolo (di statura) Jason Schwartzman appartiene al potente clan dei Coppola che annovera un celebre padre regista (Francis Ford), un figlio sceneggiatore (Roman, al lavoro anche in questo film), una celebre figlia (Sofia), un celebre nipote (Nicholas Cage), un altro nipote (Schwartzman appunto) e un celebre ex-genero regista (Spike Jonze). Se volete lavorare nel cinema, sposatevi un Coppola.
Nota erotica: il film è preceduto da un cortometraggio che ha spopolato in rete prima del lancio, come in tutti i casi in cui si vedono attori famosi nudi e ansimanti. "Natalie Portman nude" è stata infatta una frasi più cercate su google.
Il corto si intitola "Hotel Chevalier" e chissà se qualcuno, cercandolo ancora, non finisca proprio qui:



foto: http://www.flickr.com/photos/12522809@N05/2032020919/