martedì 29 aprile 2008

Ieri

Come creare un evidente contrasto tra quello che si vive e quello che si legge e uscirne ringiovaniti.
Gli ingredienti: raro weekend di sole, con ritorno nelle terre natie. Tempo da dedicare a se stessi. Libro nuovo. Uno scoglio in mezzo al mare.
Il protagonista: "Ieri" di Agota Kristof. La storia si muove tra due luoghi non definiti da un nome proprio, ma precisamente scolpiti come immaginario: un paese di campagna dell'Est, in un indistinto periodo bellico e una fabbrica di un paese dell'Ovest ricco coi ricchi, povero coi poveri.
La scrittura della Kristof è giustamente famosa per la sua secchezza, la sua precisione, la sua schiettezza: incede come soldati in marcia, non si ferma davanti agli ostacoli, non ha mai l'esitazione del dubbio. L'infanzia, il sesso, l'amore, il lavoro, l'odio, la menzogna, la vendetta vengono tutti chiamati con il loro nome, si offrono nudi e semplici per quello che sono, ed è la loro nudità che spaventa, la loro semplicità che spiazza.
Il libro si beve in un paio d'ore, in un'unica apnea. Quasi mi spiace di averlo letto così rapidamente: non mi sono soffermato sui momenti in cui l'azione si interrompe e lascia spazio a pagine di simbolismo, a metafore di scrittura. O forse è giusto così, occorre non interrompere il ritmo della marcia, nemmeno quando diviene una barca che attraversa rapida il corso di un fiume.
So che improvvisamente è arrivata la fine, equa e implacabile, chiara fin dalla prima pagina, evidente nell'ultima.

Da questo libro Soldini ha tratto il film "Brucio nel vento", di cui qui sotto trovate una scena:





Giudizio del blogger: 4 stelle
Sconsigliato a persone dalla mentalità chiusa e dalla moralità miope.
Consigliato agli estimatori delle voci femminili, agli appassionati di storie crudeli e fatali, a chi vuole finire un libro e ritrovarsi felicemente abbronzato e con un aspetto più giovanile del previsto.

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venerdì 25 aprile 2008

Le sue materie oscure


Comincio con un mio errore. Ho appena terminato di leggere in lingua originale l'ultimo libro della trilogia fantasy di Philip Pullman, trilogia che nella mia mente ho sempre chiamato "le sue materie oscure", e che invece, scopro ora, in Italia è stata tradotta come "queste oscure materie". Peccato, preferivo la mia traduzione mentale.
Il titolo, e non solo quello, trae ispirazione da un verso del "Paradiso Perduto" di Milton:
"Unless the almighty maker them ordain
His dark materials to create more worlds"

Con la sua lotta tra Satana e Dio, con la gigantesca ed eroica figura dell'angelo ribelle, coi suoi riferimenti pagani e mitologici, il grande classico della letteratura inglese è un po' il padre adottivo della creazione di Pullman.
E' difficile sintetizzare in un solo commento leggibile - anche se finora di lettori se ne contano meno che di non indagati in parlamento - 3 libri densi di avvenimenti e piuttosto diversi tra di loro. Per non parlare del film che ci si è messo in mezzo.
"Queste oscure materie" (lo ripeto per memorizzarlo) mi ha decisamente sorpreso per la sua maturità: rispetto ad altri fantasy, che sono soprattutto godibili per il brillante concatenarsi delle azioni, Pullman regala una riflessione più vasta e ambiziosa. Nella trilogia c'è il tentativo di smontare e ricostruire momenti della mitologia pagana e cristiana e di reinterpretare il rapporto tra uomo e divinità, tra libero arbitrio e destino supremo. Può piacere o no, può essere più o meno criticabile, ma è stato proprio questo a muovere la mia lettura: il desiderio di capire la teologia e la cosmologia dell'autore britannico.
Uno dei pilastri portanti del libro è la teoria degli universi paralleli, che oltre ad avere grande fascino per gli scrittori, ha tra i suoi sostenitori alcuni fisici e studiosi di meccanica quantistica.
Nel libro i personaggi si muovono, con mia grande invidia, tra infiniti mondi comunicanti: alcuni abitati da uomini come noi, altri abitati da uomini come noi ma dotati di daemon (ovvero un animale inseparabile e perfettamente empatico), altri da streghe (vecchissime, bellicose e sensualissime), altri da angeli (alcuni dei quali sono omosessuali), altri da sciamani (mestiere che non vi consiglio di intraprendere, è un po' doloroso).
Il primo libro "La bussola d'oro" mi è sembrato fresco, originale, intrigante; il secondo "La lama sottile", il mio preferito, è più scuro, più complesso, più ambiguo; il terzo "Il cannocchiale d'ambra" è piuttosto complicato, mirabolante ma anche un po' faticoso.
Devo dire che alla fine la "teologia" di Pullman non mi ha convinto fino in fondo, ma penso sia normale quando si punta molto in alto e si vanno a toccare archetipi della cultura: ma è proprio è il tentativo di creare qualcosa di ambizioso che ho molto apprezzato.
Sicuramente di questi libri tratterrò nella mente alcune immagini formidabili (attenzione, potrebbero essere spoiler): il tabù infranto di toccare il daemon altrui, il dialogo tra Mary Malone e gli angeli a Oxford, la ferocia dei bambini che vogliono il coltello, la fragilità di Dio, i colori delle libellule nel regno dei morti, l'assoluzione del prete prima che commetta un omicidio, la curiosità delle Arpie, la morte come sollievo, la lealtà delle spie, il cannibalismo come rituale di sepoltura.
Nella mia mente devo ancora ricollegare tutti i pezzi che ha seminato Pullman, come il nuovo ruolo di Eva, il nuovo ruolo del serpente, la nuova battaglia degli angeli contro Dio, ma mi fa molto sorridere leggere che l'autore è rimasto un po' seccato perchè tutta la polemica da parte della Chiesa se l'è presa Harry Potter e a lui è rimasto ben poco.
Sconsigliato a chi non vuole aspettare tre libri prima di capire come va a finire.
Consigliatissimo a chi pensa che un mondo solo non basti e che la chiesa sia un'autorità dispotica che nulla ha a che vedere con la verità.
La morale: vivete intensamente, avere qualcosa da raccontare vi servirà nell'aldilà.

Note sparse: il film tratto dal primo libro è nettamente inferiore al testo. Troppo tropicale, colorato, conciliante rispetto allo spirito del libro. Peccato perchè il cast con la Kidman-Coulter, Craig-Asriel, Green-Pekkala sulla carta era ottimo.
Il primo libro l'ho comprato a Ullapol, una sperduta cittadina scozzese con una simpatica libreria e un bel paesaggio. Il secondo l'ho comprato alla Feltrinelli, con una simpatica ragazza che mi ha detto "leggere questo libro ti cambierà".
Uno dei fondatori della teoria dei ""molti mondi è Hugh Everett III, padre del cantante degli Eels.
Milton, oltre a essere ispiratore di Pullman, e uno dei padri della letteratura inglese, è anche uno degli autori che ha arricchito di più la propria lingua: l'elenco dei neologismo da lui creato è impressionante! Terrific!

foto: http://picasaweb.google.com/ewbaxter/20071018ScotlandHoliday2007/photo#5131729828768908450

martedì 22 aprile 2008

Bette Davis eyes


Come cantava Kim Carnes "she'll take a tumble on you/roll you like you were a dice/until you come out blue/she's got Bette Davis eyes".
Finalmente ho visto un grande classico dei melodrammi in bianco e nero, uno dei capolavori di Wyler e una delle grandi prove di attrice di Bette Davis: "The letter", che in italiano è stato tradotto, quasi alla lettera, "Ombre Malesi"!
In effetti nel film hanno un ruolo centrale la lettera, le ombre e la Malesia.
La storia, tratta da un racconto di Maugham, ispirato a sua volta a una storia vera, si svolge in una piantagione di gomma e ruota attorno a un delitto passionale e appassionante. La scena iniziale del film è da antologia: da una carrellata su una pianta da cui cola gomma, ai malesi che dormono all'aperto sotto un cielo ombroso e lunare, fino a un colpo di arma da fuoco e a una folle Bette Davis che infierisce su un cadavere.
Legittima difesa o omicidio passionale? Questo il dilemma che tiene avvinto lo spettatore per gran parte del film, anche se personalmente sono stato a lungo rapito dai contrasti di luce che accompagnano gli attori, da una luna di carta che appare e scompare con miracoloso tempismo, e soprattutto dai dialoghi di Bette Davis: con la pistola ancora fumante e un cadavere sotto al portico, non dimentica comunque di essere gentile verso gli ospiti, domandando come stanno i parenti, commentando il tempo e indugiando sulle quotidiane vicissitudini della vita da colonialista.
Il personaggio di Bette Davis, coi suoi grandi occhi espressivi, giganteggia nel film, sia che trascorra il suo tempo ricamando bianchi pizzi, sia che svenga sopraffatta dall'emozione, sia che si avventuri coraggiosamente nei bassifondi a incontrare la vedova del defunto.
Il film si conclude con un climax finale dove dialoghi melodrammatici, colpi di scena, stereotipi del genere, vendette e punizioni si susseguono in rapida sequenza, regalando la sensazione di avere visto proprio il classico noir passionale in bianco e nero di una volta. Evviva.
Qualche nota interessante: il libro termina in modo meno conciliante del film, con il cattivo (che non svelo) che vive felice e contento, ma la Warner pretese di cambiarlo, così come il personaggio della vedova fu modificato da una donna cinese a una euroasiatica, in ottemperanza al codice Hays.
Pare infine che Bette Davis e William Wyler, il regista, abbiano litigato su alcune battute che secondo l'attrice nessuna donna avrebbe mai pronunciato: per fortuna vinse il maschio dispotico e a noi restano improbabili dialoghi sublimi.
Giudizio del blogger: 4 palle, è una chicca da avere in cineteca.
Consigliatissimo agli amanti del bianco e nero, agli appassionati di personaggi femminili e a donne che sognano passioni proibite in lussureggianti terre lontane.

Infine ecco un bel momento dedicato ai fan della Davis e dalla sua diabolica risata:

lunedì 21 aprile 2008

21 vince sempre


Brutta storia, lo sciopero degli sceneggiatori.
Temo che nei prossimi mesi vedremo film e serie tv scritti in una notte per recuperare il tempo perduto, o opere prime di studenti imberbi alla loro prima grande occasione.
Vedendo "21" ho sperato di trovarmi di fronte a una di queste due ipotesi, ma credo che in realtà sia stato scritto consapevolmente, lungamente e accuratamente.
Diciamo che, a parere mio, la sceneggiatura non è esattamente il piatto forte: i dialoghi e le situazioni sembrano copiati e incollati da mille film precedenti, tra il pubblico si sente qualche risata non voluta e alcuni spunti interessanti della storia non vengono valorizzati. Devo ammettere però che, per chi non rinuncia mai a una bella partita a carte, e per chi le vivacizza con una buona puntatina di soldi, il film può avere il suo fascino.
Nella storia si muovono, più o meno a loro agio, Jim Sturgess, che arriva dritto dritto da "Across the universe", con la stessa pettinatura, gli stessi vestiti e la stessa bici; Kevin Spacey, che ha fatto di meglio, ma che si rivede volentieri; Kate Bosworth, che da biondina sembra una tra tante, ma che col caschetto moro acquista improvvisa personalità; la solita coppia di cinoamericani esperti di numeri e trafficoni e la solita coppia di nerd informatici sfigati ma dal buon cuore.
21 è il numero magico per chiunque giochi a blackjack. Io mi ci sono cimentato una volta sola, durante un viaggio in quel delirio legalizzato che è Las Vegas, e anche se ricorderò quel giorno soprattutto perchè ho temuto di morire di stanchezza, mi è bastato poco per capire che sarei potuto diventare schiavo del gioco! Ha tre ingredienti fondamentali per attrarre chiunque: è facile, dura poco, si vince e si perde continuamente. La mattina dopo ho comprato carte e fiches.
Se avessi visto prima il film (tratto dalla storia vera di alcuni ragazzi che hanno sbancato Las Vegas, raccontata nel libro "Black Jack Club" di Mezerich), mi sarei messo d'accordo con gli amici per contare le carte anche noi - non sembra impossibile e mi piacciono molto i numeri - avremo bevuto acqua tonica e lime anche noi - invece di quei buonissimi cocktail del Bellagio - e ci saremo messi d'accordo su qualche cenno - magari meno evidente di una bella stirata di braccia.
Dell'invenzione di questi ragazzi mi ha colpito il modo in cui abbinavano i numeri alle parole, per potersele scambiare davanti a tutti, ma comunicando un secondo significato solo a pochi.
Voto del blogger: un paio di palle se le prende, ma solo perchè Las Vegas e la baldoria del gioco non mi lasciano mai indifferente.
Sconsigliato a chi sente l'istinto di giocarsi la casa con tutti i parenti dentro anche durante le partite di briscola.
Nota finale: film visto a Rapallo, di sabato pomeriggio, e con fuga all'inizio dei titoli di cosa nel tentativo di prendere un treno. Chiedo scusa al signore che ho speronato uscendo, con una mossa da giocatore di rugby o da addetto alla sicurezza del casinò.

In occasione dello sciopero degli sceneggiatori, sono stati realizzati numerosi video a supporto della loro causa, ne pubblico uno:

venerdì 18 aprile 2008

Who's that girl?

Avete presente quando state cercando una cosa, non la trovate, ma vi imbattete in tutt'altro e improvvisamente seguite un nuovo corso di pensieri e trovate qualcos'altro ancora e vi illuminate e volete condividerlo con qualcuno?
Ecco.
Il mio trend setter musicale personale mi ha consigliato di ascoltare "Blind" by "Hercules & Love Affair" - già il nome merita attenzione - per i seguenti motivi: disco anni '70, la voce di Antony and the Johnson e la presenza della cantante degli Everything but the girl nel video.
Due delle notizie si sono rivelate perfette: dietro il progetto c'è infatti un signore della house music come Frankie Knuckless, e Antony arricchisce la canzone con la sua voce in grado di fare venire la pelle d'oca dopo 2 secondi e fino a che gli pare. La ragazza che si vede nel video però non è assolutamente Tracey Thorn, come molti potrebbero pensare. Ok, come il mio trend setter poteva pensare.
Come dicevo prima, cerchi una cosa e ne trovi un'altra.
Poichè qualche sera fa avevo visto Garden State (con l'attore di Scrubs) e avevo scoperto che una delle mie canzoni preferite degli Everything but the girl, "The only living boy in New York", è in realtà una cover da Simon&Garfunkel, ho deciso di navigare un po' su youtube cercando loro esibizioni live, per farmi una cultura: spero che i collegamenti fin qui siano chiari a chi mi legge (ad oggi nessuno, credo). E lì cosa trovo tra i primi risultati? L'ennesima cover di cui ignoravo l'esistenza: cioè, questa volta conoscevo l'originale, ma non la cover. Che è splendida.
Poichè tutto mi sembra già abbastanza complicato e l'unica speranza di salvarmi è dire che ho scritto un post che nello stile riflette l'incessante concatenarsi di pensieri liberi (Virginia Woolf da qualche parte sta ridendo), non mi resta che linkare la cover degli EBTG, senza rivelarne il titolo e chiudere inserendo Hercules and Love Affair da cui tutto ha preso il via:





Titoli di coda.

giovedì 17 aprile 2008

Rebecca a Manderley


Piove, questo è certo. Ed esistono ancora le mezze stagioni, qualcuno dovrà trovare il coraggio di ammetterlo. E il mio voto alle elezioni si è rivelato perdente.
Date le premesse, non mi resta che accucciarmi sul divano e guardare un film in bianco e nero: solo l'idea mi mette di buon umore.
Ho letto di recente di una fiction sulla Rai ispirata al film di Hitchcock "Rebecca la prima moglie" (solo "Rebecca" nella versione originale) e per fortuna l'ho trovato sui miei scaffali.
"Last night I dreamt I went to Manderley again" è il celebre inizio del libro della Du Maurier e del film.
Rebecca e Manderley sono due presenze e due ossessioni che incombono su tutti i personaggi del film, e in cui si distingue il tocco da maestro di Hitchcock, alla sua prima prova hollywoodiana (ammetto di essermi lasciato sfuggire il solito cameo del regista e di averlo scoperto su Wikipedia).
La storia parte in una vacanziera e soleggiata Montecarlo, dove una vivace ragazza arriva come segretaria al seguito di una buffa ricca zitellona. Mi sono chiesto per tutto il film il nome della poveretta, interpretata da Joan Fontaine (sorella della Melania di Via col Vento!) e proprio non mi veniva in mente, ero convinto di non ricordarlo come spesso mi succede quando guardo un film in lingua originale - a proposito, sbaglio o Laurence Olivier parla alla velocità della luce? Invece la protagonista non viene mai chiamata per nome, ma solo Mrs De Winter, per accentuare ancora di più il contrasto drammatico con la celebre, inarrivabile, bellissima, amatissima, famosa fin dal titolo Rebecca, la prima moglie, appunto.
Certo che Alfred aveva un suo gusto sadico verso le protagoniste: a volte le fa morire poco dopo l'inizio del film, a volte le fa morire due volte, altre volte non le nomina nemmeno.
La storia prosegue poi a Manderley, splendido luogo gotico in Cornovaglia: mi piacerebbe andarci, qualcuno ci è stato e mi può dare suggerimenti?
Qui la donna senza nome proprio trova ad accoglierla a braccia aperte: una schiera di domestici inutili, un amico di famiglia piacione, una cognata schietta, una governante con scritto in viso "sono in un film giallo", un pazzo in una capanna e tanta, tanta simpatia.
Pare che Hitchcock abbia tentato di cambiare la storia, ma gli fu impedito.
Mi ha colpito il curioso andamento del film con un inizio da commedia, uno svolgimento da giallo gotico, ma senza un vero delitto, un finale da film giudiziario, e un finalissimo folle e fiammeggiante.
Film da vedere: si consiglia di scegliere una serata piovosa, di avere una coperta o un gatto per scaldarsi e di avere un rapporto conflittuale con la ex del proprio amato (che merita di morire solo in quanto tale, e che infatti muore, e nel più soddisfacente dei modi).
La morale del film: se volete farvi un vestito in casa, prendete spunto da un numero di Burda e lasciate perdere i dipinti di famiglia, che sicuramente avete sul camino.
Voto finale del blogger: molte palle.

Qui trovate il trailer dell'epoca. Vi avverto: praticamente si capisce tutto!

mercoledì 16 aprile 2008

Storia, più o meno, di Faust


Pensavo di iniziare questo blog in un altro modo, ma ho già cambiato idea strada facendo: cominciamo bene.
In realtà non credevo che avrei mai parlato di teatro, ma ieri sera sono stato a vedere "Faust" al Teatro Arsenale di Milano ed è stata un'esperienza davvero interessante.
Il teatro è, da fuori, una minuscola facciata di chiesa, schiacciata tra i palazzi, le auto e le rotaie del tram di via Correnti: da quello che una volta era il rosone viene una luce brillante, stile visione mistica o discoteca.
Informazioni utili per chi ci va la prima volta: non esiste guardaroba (quanto ho amato la mia borsa della palestra pesante e umidiccia), i posti non sono numerati, chi prima arriva prende i posti più comodi, chi tardi arriva prende quelli senza schienale (indovinate un po'...), non c'è bar, non so se c'è bagno.
Il teatro, nel complesso, ha un suo innegabile fascino. E' molto alto, ha la struttura di una chiesa, per cui il luogo dell'organo può divenire luogo di scena o cabina di regia, e non esiste un palco, per cui i confini tra attori e pubblico sono indefiniti, un po' come nel teatro elisabettiano, credo.
Del testo originale scritto da Marlowe ("La tragica storia del Dottor Faust") non sapevo quasi nulla e di Faust sapevo solo quello che poteva essere utile al Trivial: ha venduto la sua anima al diavolo, ne ha parlato anche Goethe.
Ecco, devo dire che dopo lo spettacolo non ne so molto di più. Più che concentrarsi sulla trama, la compagnia ha cercato un mix di testo storico e riferimento moderni (momenti da cabaret milanese, canzoni pop italiane), privilegiando l'atmosfera, le suggestioni, il senso complessivo della storia. Stamattina, leggendo su Wikipedia, ho scoperto che la storia originale è un po' diversa, che alcune scene chiave sono differenti (quella del cerchio magico) e che mancano moltissimi personaggi. Poco male. Gli attori, secondo me davvero bravi ed efficaci, mi hanno lasciato queste suggestioni: Mefistofele con un ombrello bianco coperto di piume, una timidissima Angelica, gli occhi sulla mani di Faust, il dialetto milanese - che io credevo fosse veneto - degli studenti, il chitarrista, le scene da tableau vivant.
All'interno di questo teatro che era una chiesa dell'Inquisizione, ho allegramente sospeso la mia incredulità davanti agli effetti non speciali, a piccoli trucchi di luci, di scena, di musica, di corpo che riportano a una magia più semplice ma non per questo meno coinvolgente.

Ultime due note.
Se apprezzate le chiese che diventano altro, ad Amsterdam esiste una chiesa diventata discoteca, si chiama Paradiso e io ci ho visto un concerto punk.
Se apprezzate la modernizzazione di Marlowe, vi consiglio di vedere EdoardoII di Jarman: anche qui c'è musica di oggi, ma questa volta di Annie Lennox.

sabato 12 aprile 2008

A mo' di introduzione

Uno dei motivi che mi ha attrattato nella blogosfera è la possibilità di scrivere e lasciare che le proprie parole cadano in un vastissimo vuoto o creino un dialogo con altre persone, ma in ogni caso scavalchino privilegi, corporazioni, albi professionali.
Uno dei motivi che mi ha fatto dubitare della blogosfera è lo scarso interesse che ho nel parlare di me stesso, e che invece pare essere una fiamma che alimenta così tanti blog.

Alla fine ho deciso di occupare ritagli del mio tempo raccontando le storie che vedo, quelle che leggo, quelle che ascolto e quelle con cui gioco: attività che si prendono, con grande piacere, molto del mio tempo libero.
Non scriverò, credo, delle recensioni, ma creerò, spero, un grande scaffale di pensieri che io potrò usare come archivio e chi lo vorrà potrà usare come ispirazione.

p.s. avrei voluto chiamare questo mio blog "storie", ma il nome era già impegnato da questo ottimo e aggiornato blog. Non si può lanciare una campagna per liberare i nomi che i proprietari non usano più?